Vacanze italiane

Ogni tanto mi piace fare l’antropologa. Non immaginatemi però in viaggio verso luoghi remoti e inospitali, perché in realtà non mi muovo dalla mia scrivania. Negli ultimi sei mesi ho osservato da vicino una tribù molto interessante – i turisti olandesi amanti dell’Italia – da una postazione molto comoda: i gruppi Facebook. Lì ho scoperto le mete più amate (il lago di Garda in pole position, ovviamente), le loro attività preferite (mangiare e bere vale come attività?) e i problemi principali (come direbbe Montalbano “guidiamo come dei cani drogati”), ma ho deciso di soffermarmi sulle questioni culturali per capire bene le caratteristiche dell’Italia immaginaria degli olandesi, e paragonarla al Paese che conosco io.

Nelle mie osservazioni ho notato che molti non si accontentano di godere di sole, bei panorami e ottimo cibo. Il problema è che loro non sono semplici turisti ma viaggiatori/esploratori, e vogliono “capire” davvero il posto in cui si trovano e fare esperienze che elevino il loro livello di conoscenza del Paese ospitante e della sua cultura. Così c’è la signora che chiede chi conosce un ristorante in cui il cuoco viene al tavolo a spiegarti come si cucina e chi a metà agosto vuole assistere alla spremitura delle olive. C’è persino quello che vorrebbe tanto andare a cercar tartufi con un autentico trifolau. Tutte queste attività – magari nella stagione giusta – sono in realtà davvero possibili nella nostra Penisola, ma sono delle pure recite organizzate a scopo turistico. Così nella ricerca della “vera” Italia i nostri esploratori finiscono per fare quanto di più fasullo possa esistere.

Come già menzionato, vi sono due tipi di turisti. Quello semplice ha spento i recettori e l’elaboratore centrale e non cerca di trarre informazioni da quanto lo circonda, perché sarebbe uno spreco di energia, e lui è in vacanza. Beato lui. L’altro, l’esploratore, ahimè ha il sistema sempre in modalità ON, anche se i sensori a volte avrebbero bisogno di una regolata. Così, molti turisti tornano in Olanda con l’idea secondo la quale nessuno, ma proprio nessuno, in Italia parli inglese. Non hanno pensato che forse la commessa del supermercato e il benzinaio non hanno ragione di parlare inglese perché vedono pochi stranieri l’anno, mentre il medico o l’insegnante conoscono una lingua straniera, ma non hanno avuto modo di incontrarli. Non hanno nemmeno pensato che forse anche in Olanda le commesse non parlano poi così bene inglese, ma che è difficile rendersene conto se ci parli sempre insieme in olandese. So benissimo che la conoscenza media dell’inglese è molto più alta in Olanda rispetto al mio Paese, ma l’uso della parola “nessuno” mi infastidisce un po’. E poi faccio fatica a comprendere la mancanza di sfumature – tra il parlare o no una lingua esistono molti stadi intermedi – e mi sembra eccessiva la pretesa di aver visto e fotografato alla perfezione il panorama delle competenze linguistiche in Italia in due settimane di vacanza.

Però devo ammettere che osservare la realtà che ci circonda e notare le differenze è anche piuttosto normale. Tuttavia, solo una profonda conoscenza della cultura locale ci può permettere di trarre conclusioni sensate. Così mi imbatto in una signora che ha postato una foto del reparto macelleria di un supermercato italiano e si è chiesta come mai in Italia la maggior parte dei supermercati abbia un bancone con un “vero” macellaio che taglia bistecche e prosciutto su richiesta dei suoi clienti. In Olanda i supermercati non hanno un bancone macelleria con dipendenti, ma persino nelle macellerie vere e proprie raramente il proprietario taglia qualcosa davanti a voi: il più delle volte si limita a porgervi una vaschetta con un prodotto già porzionato, o vi allunga un pezzo da arrosto confezionato sottovuoto e magari proveniente dall’Uruguay. Le reazioni sono state molteplici. Da chi ha detto “Bellissimo! Così tutto è più fresco” a chi ha pensato fosse un modo per utilizzare meno imballaggi, fino al commento frugale: “Mi sembra poco efficiente perché devi pagare lo stipendio a più persone”. Tutti hanno guardato la foto, e nessuno ha visto. Pensare che la soluzione all’enigma era così semplice. Noi italiani vogliamo un macellaio in carne, ossa e affettatrice perché il prosciutto appena tagliato ha una consistenza e un profumo a cui non vogliamo rinunciare. Perché vogliamo fargli preparare un taglio di carne proprio su misura per noi mentre lo bombardiamo di domande sulla razza della bestia, la data di macellazione, gli chiediamo di togliere per bene il grasso e gli facciamo giurare che la bistecca è tenera e non si restringerà nella padella. È questione di sapore e di cultura alimentare, tutto qui.

Non soli ricordi e esperienze ci si porta dietro, ma anche souvenir. Lo faccio anch’io – eccome se lo faccio – ma mi ha stupita moltissimo l’enorme differenza tra la mia “spesa dell’emigrato” (così la chiamiamo noi expat) e la spesa del turista straniero in Italia. Per quanto riguarda gli alcolici, l’unico liquore che tutti gli olandesi comprano in Italia convinti che solo qui sia davvero buono è il limoncello, ma molti invece acquistano direttamente l’alcool a 90° (molto più caro in Olanda) e i limoni, per avviare una mini-produzione casalinga. Nonostante gli enormi sforzi di Slowfood per la promozione delle ricette tipiche e dei prodotti locali, gli stranieri continuano a conoscere ben pochi prodotti tipici: gli olandesi cercano i cantucci (che loro chiamano “biscotti”) ovunque in Italia, e poi acquistano parmigiano, olio, pesto in barattolo e talvolta pasta secca. In poche parole, esattamente come facciamo noi turisti italiani quando andiamo a caccia di burro d’arachidi negli Stati Uniti, anche gli olandesi invece di andare alla scoperta di qualcosa di nuovo si portano dietro i prodotti con cui identificano l’Italia da sempre. Tuttavia, ho scoperto che fanno scorta di un prodotto davvero insospettabile. Siete pronti? Si tratta dell’ammorbidente per il bucato Felce Azzurra. Dicono abbia il profumo delle vacanze, e non posso che capire il loro desiderio di portarsi dietro un pezzetto di estate perché so bene quanto le fragranze siano delle specie di tappeti volanti che ci fanno viaggiare nello spazio e nel tempo. Però le mie memorie italiane sono l’aroma delle caldarroste, dei funghi porcini, degli alberi di fico e delle panetterie. Pensavo che l’Italia avesse gli stessi odori per tutti e mi sbagliavo di grosso: non avevo capito che ciascuno di noi ricorda i profumi della “propria” Italia.

Infine, la mia deformazione professionale mi ha portata ad analizzare anche le parole usate per definire i posti in cui amano andare, e mi sono accorta che uno dei termini più ricorrenti è authentiek, autentico. Ho capito che authentiek è per loro il borgo con stradine strette, pavimentazione in pietra e gerani rossi alle finestre. Per loro questa è l’Italia autentica, e tutto il resto è da evitare al punto che, chi ci capita per sbaglio, chiede agli altri dove sono le località più autentiche nelle vicinanze. Questi luoghi non vengono solo ammirati per un pomeriggio: spesso gli olandesi cercano di soggiornarvi perché se questa è l’Italia autentica loro vorrebbero vivere alcune settimane da italiani veri. Così una vacanza diventa una strana forma di recita e gli italiani, questi strani elfi che mangiano in continuazione e gesticolano molto, le inconsapevoli comparse.

Il punto è che non avevo mai pensato esistessero luoghi autenticamente italiani nel mio Paese. Per me l’Italia è quella porzione di Terra compresa tra le Alpi e Lampedusa, i due estremi tra i quali tutto è autenticamente italiano. Per me Italia vuol dire borghi pittoreschi e tenuti come il salotto buono della nonna e borgate di periferia devastate da abusi edilizi negli anni ‘60, città d’arte e altre di provincia in cui i malcapitati turisti vengono guardati dai locali come fossero alieni. Tutto ciò è Italia, il Paese delle contraddizioni e delle sfumature. Invece il termine authentiek fa riferimento alla penisola immaginaria che i turisti hanno già in mente nel momento in cui varcano le Alpi. Così vanno a cercare quel Paese da acquerello a buon mercato, pretendendo di sapere cosa è autentico e cosa no.

Non ho davvero nulla contro il turismo, purché il turista sia consapevole dei limiti del suo ruolo e non creda di poter usare le sue tre settimane di ferie per divenir del mondo esperto. Ho avuto modo di vedere per bene le contraddizioni di questi ruoli quando dico a conoscenti italiani che ho vissuto in Inghilterra per cinque anni: “Ah, sì, bella l’Inghilterra” mi dicono “la conosco bene, sono stata due volte in vacanza a Londra e ho visto Buckingham Palace”. Raramente sono stati al di fuori di Londra, e mai e poi mai in posticini non propriamente upper-class come Middlesbrough o Sunderland. Spesso conoscono l’inglese in modo superficiale ma pretendono di aver compreso tutto quel che c’era da comprendere. Invece come turista – per esempio, in Spagna – ho visitato solo i luoghi raccomandati dalla mia guida, senza conoscerne la lingua e solo superficialmente la cultura. Non credo di aver capito cos’è la Spagna e scoprirlo non era lo scopo del mio viaggio, così come non credo esista una Spagna autentica. Ciò che posso dire è che ho passato una vacanza piacevole, ho visto luoghi meravigliosi, comprato alcuni souvenir bellissimi, sviluppato una dipendenza dalla sangria e mangiato una paella che mi ha riappacificata con il creato. Non credo si possa chiedere di più a una vacanza.

credits foto: https://www.ilgiornale.nl/

Ceci n’est pas l’Italie: piccola guida all’Italia su Instagram

L’ispirazione per questo post viene da molto lontano. Molti anni fa sono andata in vacanza nelle Cinque Terre e gironzolando per i sentieri, ho deciso di giocare a fare foto con la mia macchinetta digitale. Capitata per caso in punto da cui si poteva riprendere bene tutta Vernazza, ho deciso di fare una foto che sembrasse proprio una cartolina. Negli ultimi anni ho rivisto quella foto identica alla mia ovunque sulle pagine Instagram di turisti perlopiù olandesi che amano l’Italia e vogliono condividere con i propri contatti il proprio amore per il Belpaese. Così ho deciso di analizzare queste foto per carpire tutti i segreti della foto autenticamente italiana. Oggi vi voglio mostrare l’Italia immaginaria degli stranieri tradotta in immagini.

I panorami. Tra i panorami preferiti spiccano le colline, che sono spesso raffigurate nella bella stagione e inquadrate in modo tale da far quasi combaciare il pendio con una delle due diagonali della foto. Gli elementi architettonici più presenti in questo tipo di immagine sono i castelli o le chiesette di stile romanico. Molto presente è anche l’acqua, sotto forma di laghi (sempre inquadrati in modo da includere le montagne sullo sfondo), di torrentelli impetuosi o della laguna veneta, che è il più delle volte ripresa da una gondola. Le coste, tranne rare eccezioni, sono raffigurate dall’alto di una scogliera o da un drone e in modo da dare al colore del mare il ruolo di protagonista.

I colori. Il verde intenso dei prati e l’azzurro del mare non sono gli unici colori. Gli stranieri sono ammaliati dalle tinte intense – rosa, giallo, arancione – dell’intonaco delle nostre case e fanno in modo che questi colori, spesso intensificati da opportuni filtri, risaltino nelle loro foto. Anche se non è un colore, un altro grande protagonista di Instagram è il bianco accecante dei trulli di Alberobello, e lo splendido contrasto con l’azzurro intenso del cielo.

La stagione. Il Belpaese ha chiaramente solo la bella stagione. Così il colore dei prati è sempre un verde così carico da ricordare più i paesaggi scozzesi e inglesi che la campagna toscana, e molto probabilmente viene intensificato artificialmente. Un’altra possibilità è che le foto vengano fatte tra aprile e maggio, in quel preciso momento in cui il colore dell’erba è particolarmente intenso. Anche se in alcune foto si vede la neve, paiono non esistere nebbia né paesaggi autunnali. E poi la luminosità è quasi sempre tipicamente primaverile e il cielo è perlopiù terso o con qualche rara nuvola bianca.

A tavola. Come spiega anche Pfeijffer in Grand Hotel Europa, gli autentici ristoranti italiani hanno le sedie impagliate, la tovaglia a quadri bianchi e rossi e un bricco di vetro un po’ sbeccato per il vino. Se la tavola è imbandita, allora tipicamente vi sono pizze margherita o spaghetti al pomodoro accompagnati sempre – forse per questioni cromatiche – da calici di vino rosso. Se invece nell’inquadratura c’è un tavolino di un bar, non manca mai un caffè o un cappuccino accanto a un croissant. Se qualcuno sapesse spiegarmi perché è quasi sempre alla crema gliene sarei grata, perché resta un mistero. Tante sono anche le foto di macchine espresso professionali in cui il caffè che cade nella tazzina è ripreso dalle angolazioni più originali per far risaltare il colore ambrato della cremina.

Gli elementi accessori. Non solo il luogo è importante, anche le aggiunte e le cornici sono determinanti. Ovviamente se la foto è presa da un drone non vi sono cornici ma, quando possibile, non manca mai il cespuglio di bouganville o di oleandro e un bel ramo carico di limoni sulla destra o in primo piano. Nelle foto dei centri storici invece è immancabile la 500, che per qualche misteriosa ragione è perlopiù rossa. Questa onnipresente 500 mi lascia sempre a bocca aperta: si può aggiungere con photoshop? Ci saranno persone che affittano la propria 500 rossa a stranieri che vogliono fare foto autenticamente italiane? Se manca la Fiat storica allora va bene anche una vespa, purché di un colore sgargiante, o una apecar. Immancabili anche il balcone con i gerani rossi e le cascate di glicini.

Quel tocco di picturesque. Il picturesque è un ideale di raffigurazione che si afferma in Inghilterra nel XVIII secolo e che si contrappone alla tradizione precedente secondo la quale la perfezione era data dalla regolarità e dalla perfezione delle linee. Per i romantici la bellezza deve essere irregolare e un po’ decadente e deve suscitare emozioni forti, siano esse positive, quali stupore per la grandiosità, che brividi di paura. Il picturesque gioca un ruolo chiave nella letteratura gotica inglese e l’Italia, con le sue rovine e i suoi personaggi doppi e corrotti, è spesso il luogo ideale in cui ambientare storie ricche di pathos. Nonostante sia passato qualche annetto, noto questa iconografia ancora oggi nelle pagine Instagram degli stranieri. Infatti, molte foto di vedute definite “bellissime” nella didascalia raffigurano case di campagna dall’intonaco un po’ scrostato, vicoli bui e umidi, ruderi e rovine o pavimentazioni a ciottolato meravigliosamente usurate. Un altro modo in cui le foto assumono quel tocco che le rende speciali è attraverso il cielo che, se non è assolutamente terso, è percorso da nuvole nere delle forme più spaventose e suggestive.

Cosa manca. Per quanto riguarda i paesaggi, mancano quasi del tutto le spiagge e le foto di persone nell’acqua. Il secondo grande assente è la pianura, mentre le onnipresenti montagne sono il più delle volte la cornice delle foto e solo raramente hanno un ruolo da protagonista. Ovviamente, credo per ragioni cromatiche, non vi sono aree desertiche, con i loro cactus e i fichi d’India. Ma mancano anche buona parte degli Appennini, le aree lagunari (Venezia esclusa), le pinete in riva al mare e, in sostanza, i luoghi poco frequentati dai turisti. Infine, manca la gente: è ovvio che se voglio riprendere un panorama le persone sono un elemento di disturbo, ma nella maggior parte delle foto le città – Roma e Firenze incluse – sono assolutamente deserte. Se presenti, gli italiani sono seduti al bar o sono comari che fanno le orecchiette in strada.

Non vi è nulla di davvero artificioso in queste foto: sono vere immagini del nostro Paese, in cui beviamo davvero molto caffè e facciamo davvero ogni tanto la pasta in casa. Nessuno può negare la bellezza incredibile di questi scatti, ed è anche vero che le foto devono avere dei bei accostamenti cromatici e una inquadratura armoniosa, poiché nessuno fotograferebbe quegli orrendi condomini anni ’60 così comuni nelle periferie delle nostre città. Resta però l’impressione di vedere una immagine precostruita della nostra penisola. Se penso alla realizzazione di quegli scatti mi viene in mente quella volta in cui ero in vacanza in Scozia, e mi sono sdraiata su un prato fangoso per riprendere un panorama splendidamente incorniciato da un cardo, il simbolo della terra di Highlander. Tutte le mie amiche si sono congratulate con me per quella foto, della quale vado effettivamente molto fiera. Non sanno che ho cercato per giorni un fiore della dimensione adatta e dal punto di fioritura ottimale. Queste foto di viaggi sono il corrispettivo paesaggistico delle foto delle influencer che tanto fanno arrabbiare noi portatrici sane di rotolini e difettucci misti perché ci siamo convinte che quell’immagine patinata sia vera. In sostanza, gli scatti su Instagram si sono sostituiti alla realtà e ci hanno fatto dimenticare la bellezza delle foto totalmente spontanee e prive di filtri. Nell’era dell’immagine tutto deve avere certi requisiti per essere degno di essere condiviso, così anche i paesaggi italiani sono diventati omologati e prevedibili.

Hic sunt leones

Per alcuni stranieri l’Italia è rimasta il Paese descritto dagli scrittori inglesi che la visitavano nei Grand Tour: un posto incredibilmente pittoresco, ma abitato da loschi figuri propensi a ingannare gli ingenui e onesti stranieri e gestito con sistemi da terzo mondo. Così la voglia di visitare luoghi unici al mondo si abbina al sottile brivido di paura per ciò che potrà accadere e, chissà, forse talvolta quest’ultimo elemento può persino attrarre i turisti, perché da noi finiscono con il sentirsi come i protagonisti di un romanzo gotico dell’800. In Italia non ci si annoia mai!

Alcuni anni fa un collega scozzese del mio compagno decise di fare una vacanza di qualche settimana a Firenze e, poco prima di partire, chiese qualche informazione al suo collega locale. Si trattava di una persona di ottima cultura e molto gentile, ma evidentemente non proprio bene informato. Così, preoccupato per la sua incolumità, domandò: “Ma in Italia è consigliabile bere l’acqua delle fontanelle in strada e dei rubinetti, o è meglio bere solo acqua in bottiglia?”. Dopo aver esercitato un notevole self-control il mio compagno gli rispose che no, non è rischioso bere dalle fontanelle in strada. Però avrebbe tanto voluto dirgli che il problema non è tanto l’acqua quanto i leoni. Chi ha il coraggio di avvicinarsi alle fontanelle con tutti quegli animali feroci che si aggirano in città?

Qualche anno dopo la sua compagna canadese prenotò una breve vacanza a Roma con un tour organizzato, e mi chiese qualche indicazione turistica. Mi aspettavo di dover dare informazioni sui posti imperdibili e invece no, il problema era la sicurezza. Dopo averla rassicurata che anche senza parlare la lingua è possibile uscire dall’aeroporto, prendere treni e taxi e fare shopping, arrivò la domanda più inaspettata: “E questo trastevir è davvero un posto così pericoloso?”. Si trattava di Trastevere, e specificai che no, di pericoloso c’è ben poco: è solo un bel quartiere pieno di ristoranti, chiese e viottoli pittoreschi. Tuttavia, in quanto italiana la mia opinione deve essere stata valutata poco attendibile, perché subito precisò: “Secondo le mie fonti è un posto pericoloso, e non ci andrò. Meglio non correre inutili rischi”.

La situazione si ripeté circa un anno dopo, quando mi confessò che avrebbe tanto voluto chiedermi di accompagnarla a fare la famosa passeggiata della Via dell’amore alle Cinque Terre, ma aveva poi deciso di lasciar perdere perché alcuni anni prima una turista americana era morta in un incidente a Manarola. Le assicurai che è un percorso davvero molto semplice per il quale non sono nemmeno richieste calzature particolari o doti ginniche. Inoltre, essendo percorsa ogni anno da milioni di visitatori, un incidente non basta a decretarne la pericolosità. Però capii subito che nonostante le mie rassicurazioni stava visualizzando uno scenario alla Indiana Jones: una gola tra due pareti rocciose attraversata da un ponte tibetano pericolante, sotto il quale nuotano coccodrilli a dieta da troppo tempo. Così non c’è stato nulla da fare: c’è stato un incidente, quindi non è sicuro e non ci vengo. Punto.

Mi sono resa conto che nelle percezioni che i turisti stranieri hanno del nostro Paese la già menzionata tendenza menzognera è unita a un paesaggio “estremo”. È meglio non fidarsi di noi quando assicuriamo: “Guarda che è una camminata che si fa in ciabatte, la fanno pure anziani e bambini”, perché abbiamo un concetto di sicurezza non adatto agli standard stranieri e soprattutto nord-americani. Però questa idea secondo la quale siamo delle specie di Tarzan dal fisico bestiale che si arrampicano a mani nude su pareti di roccia e usano le liane come trasporto pubblico mi piace da impazzire. Credo sia davvero uno degli stereotipi più belli mai sentiti e vi invito caldamente a non smentirlo mai. “Sì, siamo proprio come gli abitanti del pianeta Pandora nel film di James Cameron. Non lo sapevi?”.