Circostanze italiane

Un mese circa fa si è ripetuto un rituale a cui sono, purtroppo, ben abituata. La rivista inglese The Economist ha pubblicato un editoriale secondo il quale i recenti guai della Gran Bretagna l’avvicinerebbero all’Italia, corredato dall’originalissima e nient’affatto stereotipata copertina con Liz Truss e un forchettone di spaghetti. Dov’era la necessità di menzionare l’Italia, non bastava dire “Ce la passiamo male?”. No, il tutto si spiega con l’inguaribile arroganza di cui sono affetti molti Paesi del Nord Europa.

I giornali italiani ne hanno parlato con toni piuttosto scandalizzati, con alcune eccezioni. Nell’articolo di Federico Fubini del Corriere si spiega che in realtà la perfida Albione se la passa notevolmente peggio di noi. Innanzitutto, non abbiamo mai licenziato un ministro dell’economia dopo 38 giorni e un premier dopo 45. In secondo luogo, il tracollo che la sterlina ha subito alcune settimane fa sarebbe impossibile in Italia perché abbiamo l’euro. Poi la penisola è il settimo esportatore mondiale e mantiene le sue quote di mercato, mentre la Gran Bretagna è il quattordicesimo e ha visto le sue vendite crollare dal 2017. Mentre Fubini tratta questioni economiche, John Foot su Internazionale parla di quelle politiche. Per esempio, abbiamo una costituzione che ha evitato un’eccessiva concentrazione del potere, un senato eletto dagli elettori (no, i Lord non sono eletti) e un capo di stato eletto dal Parlamento che non è al di sopra del diritto come un re. Infine, John Foot ricorda come menzionare la cucina sia un modo facile per parlare alla “pancia” dei lettori inglesi, che conoscono l’Italia soltanto come turisti. Ma L’Italia ha saputo mostrare notevoli abilità anche dal punto di vista tecnologico sviluppando, per esempio, un’ottima rete di treni ad alta velocità: chi ha avuto la disavventura come la sottoscritta di viaggiare spesso in Inghilterra in treno ha rimpianto moltissimo i treni italiani.

La questione mi ha fatto venire in mente un documentario del 2012 di Bill Emmott (ex direttore dell’Economist) che si chiamava Girlfriend in a coma. La fidanzata in questo caso era l’Italia – Paese che l’autore diceva di amare molto – che era a suo parere in un coma profondo dal punto di vista non solo economico ma anche politico e sociale. All’epoca mi era piaciuto molto, ma ero ancora nella fase in cui mi sarei fatta convincere di qualunque cosa dal Paese che mi ospitava: che dovevo sentirmi fortunata per essere dov’ero, che ero in debito e che comunque prima o poi avrei ottenuto un successo sfolgorante semplicemente perché non ero più in Italia. Questo è l’effetto di una sindrome che colpisce quasi tutti gli emigrati e il cui effetto dura per un numero variabile di anni. Per fortuna questa fase è finita e ho riacquistato la capacità di essere più oggettiva. Osservando i movimenti e le parole di Cameron già anni fa era possibile intravedere lo sfacelo all’orizzonte in Gran Bretagna. Poi l’isola per cui provo ancora un grande fascino ha deciso di fare harakiri, e i vari leader da Cameron in poi – tutti upper-class e cresciuti tra scuole private e università prestigiose – hanno dimostrato la loro incapacità. L’Inghilterra è un Paese in cui il tipo di rapporto fra gli appartenenti alla classe alta e quelli delle classi popolari è lo stesso che c’è in natura tra un koala e un orso polare. Ciò implica una difficoltà enorme a prendere decisioni giuste per tutti, e ciò significa che a mio parere anche Rishi Sunak, che ha dichiarato in un’intervista di non avere mai avuto amici provenienti da famiglie operaie, non ha grandi possibilità di riuscita.

Tornando al rapporto dell’estero con il nostro Paese, ho riscontrato la stessa arroganza molte volte anche qui in Olanda. Innanzitutto, ricordo la copertina del Telegraaf di un anno fa intitolata Napolitaanse toestanden cioè “Circostanze napoletane”. La circostanza in questione si è verificata quando l’incaricata di condurre i colloqui per mettere insieme una coalizione di governo (ci hanno messo quasi un anno prima di trovare una quadra) scopre all’improvviso di avere il Covid. Scappa dalla riunione ma tiene gli appunti sotto un braccio, pericolosamente rivolti verso il pubblico che assiste alla scena. Un fotografo scatta una foto, fa un ingrandimento e scopre fior di intrallazzi per liberarsi di un politico scomodo. Forse bastava un “Figura di m…” ma il Telegraaf ha deciso di tirare in ballo Napoli.

Obbietterete “Ma quelli sono giornali, devono fare titoli in grado di attirare l’attenzione”. Effettivamente il Telegraaf è un giornale di pessima qualità noto per titoli provocatori tipo Libero in Italia (solo che ha una tiratura molto maggiore), ma non sono davvero le copertine il problema. Ciò di cui non mi capacito non è nemmeno il desiderio di accanirsi contro il Paese in cui vanno in vacanza quanto il non riuscire a vedere cosa li circonda. Volete qualche esempio? Da maggio l’aeroporto di Amsterdam è in crisi profonda perché manca il personale dei controlli di sicurezza. Il tutto ha portato a code infinite e alla cancellazione di molti voli. Una sorte simile è toccata ai treni: se già c’erano problemi prima (i treni olandesi non amano il ghiaccio, la neve, le foglie e le temperature superiori ai 30 gradi) ora manca pure il personale, così molti treni sono stati cancellati e tanti altri accorciati, e trovare un posto a sedere in certi orari è sempre una sfida.

Eppure solo due settimane fa un mio studente ha detto che non viaggerebbe mai in Italia in treno, perché certamente dei treni italiani non c’è da fidarsi. Ma ho sentito affermazioni simili rispetto a così tanti ambiti e situazioni (ospedali, aeroporti, scuole, uffici…) da immaginarmi i loro viaggi in Italia come dei safari in una giungla in cui da un momento all’altro potrebbe spuntare fuori un leone e divorare tutti. Se l’Italia è davvero un luogo pericoloso abitato da creature infide, inaffidabili e totalmente incapaci, perché rischiano così tanto e vi si avventurano? Sono forse a caccia di emozioni forti?

Credo che dietro questo atteggiamento vi sia un po’ di invidia nei confronti dell’Italia, ma in tutta onestà sono soprattutto io a invidiare molto l’atteggiamento nord-europeo, perché credo che questo mix di arroganza (“Noi siamo i migliori”) e di miopia (“Qui va tutto bene”) sia eccezionale, ti dà uno stato d’animo sicuro e orgoglioso con il quale si affrontano meglio le situazioni difficili. Soprattutto, invidio questa profonda fiducia nel proprio Paese e nelle proprie capacità, e so per esperienza personale che è spesso il principale segreto dietro al successo di individui e gruppi. Il punto è che l’impegno non è nulla se la sindrome dell’impostore ci segue ovunque andiamo, se guardiamo agli altri sempre con l’atteggiamento di chi non ha fatto i compiti. Così se c’è qualcosa che davvero dobbiamo imparare dai nostri vicini nordeuropei è un po’ di orgoglio misto a sana arroganza.