Quando in Italia una ragazza dice in giro di voler studiare le lingue straniere il commento più comune che riceve è sempre lo stesso: “Sì, brava, ma scegli una lingua molto richiesta dalle aziende qui in zona, tipo il cinese”. Poco contano le passioni, posto fisso über alles. Chiaramente loro non hanno alcuna colpa a fare questo tipo di ragionamenti, e non capiscono che una lingua è un mondo che attira alcune persone – come la sottoscritta – come la vetrina di una pasticceria. Non sono gli aspetti concreti legati al nostro futuro lavorativo a spingerci a studiare lingue straniere (ehm, e come potrebbero) ma quelli astratti.
Poi però, una volta addentrata nelle questioni teoriche, le mie preferite, ho scoperto la famosa frase di Wittgenstein “I limiti della mia lingua sono i limiti del mio mondo” e ho avuto la conferma che le lingue erano la mia passione perché tollero poco i limiti. Wittgenstein riteneva che non sia possibile concepire un concetto se la nostra lingua non ha una parola adatta a esprimerlo. Come traduttrice non mi è difficile vedere cosa intendeva dire: ogni lingua è un sistema a sé stante e il tentativo imperfetto e difficile di tradurre significati da una lingua all’altra è, appunto, solo un tentativo. Chi abita all’estero ha smesso di parlare solo una lingua nella sua vita quotidiana e mescola amabilmente due o più idiomi insieme anche quando parla con un conterraneo non perché ha dimenticato la sua lingua, ma perché quando scopre concetti che nella sua lingua non ci sono non riesce più a farne a meno.
In questo articolo lo scrittore olandese (ma ormai genovese di adozione) Ilja Pfeijffer spiega una delle lacune della sua lingua. In olandese esiste una sola parola per due concetti per noi italiani molto diversi: le parole “colpa” e “debito” vengono entrambe tradotte come schuld. Questo spiega benissimo la ritrosia della frugale Olanda nel concedere prestiti ad altri Paesi membri dell’Unione: per la mentalità olandese un debito è automaticamente una colpa e quindi qualcosa di negativo. I limiti della lingua impediscono loro di capire che i debiti possono anche essere opportunità.
Visto che credo gli scambi arricchiscano ho fatto una breve lista di parole che l’olandese e l’italiano dovrebbero scambiarsi per arricchirsi a vicenda di significati nuovi.
Le parole che servono all’italiano
Ci sono due categorie di parole e espressioni che ruberei all’olandese.
La prima appartiene a quelle parole che alcuni definiscono “intraducibili” perché non hanno una parola corrispondente in italiano, vanno spiegate. La mia preferita è gezelligheid, che descrive una sensazione ben precisa. Hai invitato i tuoi amici preferiti a una festa, siete seduti su un divano comodo e state mangiando qualcosa di semplice ma di vostro gusto con un bel bicchiere di vino. La conversazione sgorga in modo spontaneo: tutti si sentono perfettamente a proprio agio e rilassati, sorridono e il tempo sembra volare. Ecco, questa è gezelligheid. Negli anni ho sviluppato una vera e propria dipendenza nei confronti di questa parola e mi trovo onestamente in difficoltà quando ne devo fare a meno perché il mio interlocutore non parla olandese.
Poi ci sono le frasi che semplicemente non diciamo. Mi spiego meglio con un esempio: avete presente quando siete alla cassa di un negozio di abbigliamento e state pagando? Ecco, in Italia la commessa mette il vestito nella borsa e ve la porge solo con un sorriso, al massimo dice “Grazie e arrivederci”. In Olanda questo gesto è accompagnato a una frase ben precisa: “Veel plezier ermee!“, cioè vi augurano di godervi il vostro nuovo acquisto. Mi fa sempre sorridere la reazione che ottengo quando qualcuno mi chiede di tradurre questa frase e spiego che non esiste: “Come non esiste?! Ma io la voglio dire!”. Forse gezelligheid e veel plezier ermee mi piacciono così tanto perché descrivono sensazioni piacevoli, e mi aiutano a ricordare che certi momenti vanno celebrati e le parole per queste occasioni non sono mai troppe.
Le parole che servono all’olandese
Le più grandi lacune da me riscontrate nella lingua olandese sono tutte in ambito alimentare. Che enorme sorpresa! Sarcasmo a parte, data l’estrema semplicità della cucina olandese non stupisce la scarsità del relativo vocabolario culinario, ma il problema è che mancano gli strumenti per redimere gli abitanti delle terre piatte e insegnare loro le basi della cucina. Infatti, il verbo koken significa sia “cucinare” che “lessare”. La stessa enorme confusione sussiste anche con bakken che vuole dire sia “cuocere in padella” che “al forno”. In generale, all’olandese manca del tutto l’enorme varietà di termini italiani usati per descrivere le fasi di preparazione del cibo e gli ingredienti, ma questa lacuna è giustificata dall’incredibile “semplicità” della cucina locale. Per esempio, in Italia i tantissimi tagli di carne hanno nomi diversi quasi in ogni regione. Qui no, ma non mancano solo le parole, mancano direttamente i tagli di carne.
Questa enorme frugalità linguistica in ambito alimentare mi mette sempre in difficoltà. Il problema non è che non posso comunicare con il macellaio, quanto che non posso nemmeno pensare di spiegare a chi mi circonda come si cucina perché mancano a me – ma soprattutto agli altri – le parole per farlo. Non basta tradurre in olandese e spiegare, a volte alle sfumature di significato ne corrispondono altrettante di sapore che sono enormi per noi italiani e del tutto inesistenti per gli olandesi.
Cosa ho perso e cosa ho guadagnato
Così, se quando penso alla parola gezelligheid sento di aver guadagnato qualcosa di prezioso, quando parlo di cibo in olandese mi sento le mani legate. Questi esempi ci mostrano in modo molto pratico che per arrivare a parlare davvero bene una lingua è necessario focalizzarsi non solo sulle parole ma capirne bene la relativa cultura, poiché le parole ne sono la naturale conseguenza. Le parole, per dirla breve, sono al servizio della cultura, e se alcuni termini in una lingua non esistono è semplicemente perché quella cultura non li ritiene necessari. Le lingue non sono uno strano agglomerato di parole e di suoni e per impararle bene davvero è necessario comprendere fino in fondo la cultura. E questo processo è dannatamente affascinante.