E poi c’è Pfeijffer

Negli scorsi mesi la tensione tra Italia e Olanda è salita alle stelle in occasione della discussione sul recovery fund. In qualità di expat ho assistito al dibattito con un’unica certezza: la totale mancanza di conoscenza reciproca tra i vari popoli europei. Così, mentre i commentatori olandesi parlavano di “cicale e formiche” e video mostravano persone che fermavano Rutte per strada per chiedergli di “non dare soldi agli italiani e agli spagnoli”, gli italiani invitavano sui social i propri compatrioti a boicottare le aziende olandesi. Ottenuti i fondi, tutto è stato rapidamente dimenticato dagli italiani in Italia, ma per chi vive a cavallo di due culture la questione è un po’ più complicata. Per fortuna c’è Pfeijffer.

Ilja Leonard Pfeijffer è uno scrittore e poeta olandese che vive a Genova da ormai dodici anni, e si è immerso nella cultura italiana al punto di, come afferma lui stesso, diventare sempre più italiano e meno olandese. Nei suoi libri e articoli racconta agli olandesi la vita in Italia e offre un punto di vista sempre originale e “straniero”. È forse l’unico olandese ad aver mai raccontato l’Italia agli olandesi? Assolutamente no, i giornalisti e scrittori olandesi che raccontano l’Italia sono molti. Lui però è il primo a raccontarla con occhi diversi, un po’ italiani, senza cercare le conferme ai luoghi comuni ma, al contrario, descrivendone la cultura e la bellezza. Non aspettatevi però dai suoi racconti la classica cartolina con i limoni degli scrittori nord-europei che si sciolgono in lacrime davanti alla vista delle Alpi: lui critica il nostro Paese esattamente come lo faremmo – e lo facciamo quotidianamente – noi italiani. Per questa ragione, la sua visione a metà strada tra Olanda e Italia ci permette di capire la differenza culturale tra i due Paesi.

Uno degli argomenti più ricorrenti nei suoi romanzi è il dilemma tra finzione e realtà. L’aspetto interessante è che talvolta viene applicato all’immagine fittizia che gli stranieri hanno dell’Italia. Così, in La Superba si rivolge direttamente al suo lettore, che chiaramente è olandese, e gli spiega con sottile ironia che “esagero un po’, ma altrimenti non mi crederesti”. In questo modo svela ai suoi conterranei che l’Italia non è quel posto immaginario che hanno sempre visualizzato nei loro sogni. Però se scrivesse la pura verità forse rimarrebbero delusi.

Da buon immigrato, non può che parlare della sua condizione. Descrive gli errori che tutti noi commettiamo perché non conosciamo le usanze del luogo e siamo facili da ingannare, le etichette che ci vengono appioppate prima ancora di averci conosciuti, la nostra fame di conoscere la storia del luogo in cui siamo capitati per poter tracciare una mappa di ciò che ci circonda e dare un senso alla nostra presenza qui. Ovviamente, proprio come capita a tutti gli stranieri, i locali gli ripetono in continuazione che “non capisce come funzionano le cose” e mettono continuamente in dubbio i suoi progressi. Il racconto dell’immigrazione diventa poi tragico quando racconta le storie dei migranti che attraversano il Mediterraneo. Nei suoi libri, così come nel documentario Via Genua, è assente il dibattito tra sovranisti e buonisti. Restano solo le persone e le storie. E noi, che spesso crediamo che certe vicende non ci riguardino.

Un altro tema ricorrente – e l’argomento principale di Grand Hotel Europa – è il turismo, che è sempre descritto come un’abitudine destinata a distruggere irrimediabilmente città e comunità. Un aspetto divertente, però, è la prospettiva del tutto italiana con cui osserva lo stile dei suoi stessi conterranei. Infatti, l’attenzione che noi italiani prestiamo all’abbigliamento e all’apparenza in generale è considerata in Olanda superficialità. Per esempio, se vi presentate a un matrimonio elegantemente vestiti non sarete ammirati, al contrario qualcuno probabilmente riderà alle vostre spalle poiché avete sprecato tempo e attenzione per un dettaglio non importante. Però, mentre i giornalisti inglesi e olandesi amano insistere sul cliché della bella figura per mostrare quanto gli italiani siano superficiali, Pfeijffer ribalta il giudizio e descrive con ribrezzo lo stile dei turisti nord europei in visita nei Paesi mediterranei, atteggiamento che a suo parere mostra mancanza di rispetto per il luogo in cui si trovano e i suoi abitanti.

Infine, nei suoi libri c’è tanta Genova. Anche se ci siete già stati, vi consiglio di tornarci con lui, perché finirete per scoprire luoghi, storie e atmosfere di cui non vi eravate accorti. Lo so che farsi raccontare una città italiana da un olandese vi può sembrare strano, ma vi garantisco che è del tutto normale. Il punto è che spesso ignoriamo le bellezze che ci circondano: troviamo la nostra città noiosa perché in realtà sogniamo l’estero e abbiamo voglia di esotico. Pfeijffer invece è così follemente innamorato della sua città adottiva da farci notare dettagli che ignoravamo, e alcune pagine di La Superba in cui Genova viene paragonata a una donna addormentata ricordano tutta la dolcezza con cui Cesare Pavese descriveva la sua Torino.