Homo homini lupus

Due anni fa in un post ho analizzato i tipi più caratteristici nei gruppi Facebook di italiani all’estero. Per qualche strana ragione invece di uscire da questi gruppi nel frattempo sono entrata in altri, e ho continuato a leggerne i post e i commenti. Così è giunto il momento di riprendere in mano il mio taccuino da antropologa ma questa volta, dato che sono una traduttrice e non una psicologa, oltre ai tipi umani voglio focalizzarmi sui testi. Ho notato – e non è davvero stato difficile – che i membri della comunità italiana all’estero invece di aiutarsi tentano di nuocersi a vicenda come i capponi di Renzo. Così vi ho preparato una carrellata dei tipi di post e delle risposte più comuni con cui l’italiano all’estero mostra il proprio istinto darwiniano.

1. Homo pecuniosus

Gli italiani in Italia credono che tutti i propri connazionali emigrati siano miliardari, e questa credenza si è propagata anche all’estero grazie all’homo pecuniosus, uno degli ominicoli più frequenti al di là delle Alpi. Tale creatura esiste in natura in due sottospecie: l’homo presente e quello futuro. Quello presente, simpatico e piacevole come il Dogui, ama spesso fare notare che lui in Italia non ci tornerebbe mai perché con quello che si guadagna là non potrebbe fare la vita da nababbo a cui è ormai abituato. Ma spesso e volentieri posta in modalità anonima.

Il miliardario futuro è più subdolo. Tipicamente esorta dicendo: “Mi hanno offerto uno stipendio di X euro (sempre cifre superiori ai 5.000€ al mese). Sono un tipo semplice, sono single e conduco una vita monacale. Che dite, mi basteranno?”. Sì, gli basteranno, perché conosco persone che mantengono una famiglia con cifre ben minori. Però le risposte sono tipicamente del tipo: “Sì, potresti farcela se vai a stare in un posto isolato”, “Sì, ma dovresti nutrirti di muschi e licheni, perché se ti fai una pizza ogni tanto sfori”. Stranamente nessuno dei numerosi italiani retribuiti con il salario minimo gli dice cosa pensa di lui.

2. Homo curriculorum

Ogni tanto qualcuno si lamenta di fare fatica a trovare lavoro e chiede aiuto. Qualcuno cerca di indirizzarlo, ma non è questa la reazione più comune. I commenti più frequenti sono sempre di due tipi: a) “Strano, in Olanda il lavoro te lo tirano dietro. Guarda, io neanche lo volevo, ma avevo due headhunter che stavano diventando insistenti. Li ho visti battersi a duello sotto la mia finestra per avere la mia firma sul contratto”. (Ok, ci ho ricamato un po’ su ma non mi sono allontanata molto dalla realtà); b) “In Olanda il lavoro si trova in un’oretta. Chi non lo trova è un imbecille”. Vorrei potervi dire che anche quest’ultimo commento è inventato e invece è tristemente vero.

Gli effetti di questo atteggiamento sono devastanti su chi sta cercando lavoro. La realtà è che a meno che si stia cercando un lavoro che richiede un po’ di esperienza ma non molte qualifiche (tipo il cameriere), trovare lavoro nei Paesi Bassi non è così immediato. Non dovrebbe essere troppo difficile per chi ha un curriculum tecnico non troppo specializzato, è giovane, parla la lingua del posto e magari ha un diploma locale. La ricerca di un contratto è molto più difficile per chi ha lauree in materie umanistiche, ma conosco anche ingegneri che hanno cercato lavoro per anni prima di trovarlo, perché la competizione è serrata e non tutti sono single e disposti a traslocare ovunque e in qualsiasi momento per il contratto perfetto.

3. Homo miserrimus

C’è chi avrebbe bisogno di uno psicologo ma decide di usare un gruppo Facebook avvalendosi della possibilità di postare in anonimo. La reazione più appropriata a questo tipo di post sarebbe un abbraccio (seppur virtuale), ma c’è chi invece di tacere decide di dare il suo inutile parere. A chi soffre terribilmente la mancanza della famiglia e del proprio Paese viene detto: “Non tornare, là non avresti i bonus salariali e gli aumenti che hai qui”. A chi racconta questioni private e sentimentali dolorosissime vengono dati giudizi taglienti sempre con l’imperativo, come se da fuori fosse possibile capire dinamiche delicate e complesse. Se chi posta ha dubbi esistenziali, chi commenta non ne ha mai, e pare avere enorme facilità nel mettere in ordine le vite degli altri.

4. Homo integratus radicalis

Talvolta si fa dell’umorismo o si fa notare con sarcasmo le differenze culturali tra noi italiani e i locali. Non è difficile capire che l’intento di questi post non è offensivo. C’è chi fa notare abitudini alimentari bislacche o posta foto di case arredate in modo per noi italiani piuttosto curioso. Fortunatamente la maggior parte degli utenti capisce l’ironia e ribatte a tono, ma non manca mai l’integrato radicale. Se dite che in Italia un caffè costa sempre meno ed è più buono di un caffè nel nord Europa lui dirà che in quel Paese ha bevuto ottimi caffè, siete voi che non li avete saputi trovare. Se ridacchiate alle spalle dei vostri colleghi o vicini di casa per le usanze locali, lui dirà “Mai successo e abito anche io lì da 20 anni”. E poi aggiungerà sempre la frase finale: “Mi trovo molto meglio qui che con gli italiani”. A qualsiasi critica risponderà che non dovete permettervi di criticare il luogo in cui vivete e che vi meritereste di tornare in quella valle di lacrime che è l’Italia. Effettivamente molti ci tornerebbero volentieri, ma non l’integrato. Lui ha sposato il Paese in cui vive e detesta ogni singolo aspetto del luogo da cui proviene, persone incluse. E allora, verrebbe da chiedersi, perché si iscrive a gruppi di italiani all’estero?

4. Homo trifolao

Il quarto tipo non è sui social. So cosa penserete: “La vita reale è meglio dei social, solo lì si trovano le vere amicizie”. E invece no. Se l’italiano non lavora nel vostro stesso settore e non è una partita IVA, c’è qualche speranza, ma se è un collega reale o potenziale troverete anche all’estero lo stesso clima cordiale e solidale tipico negli uffici in Italia. Solo che mentre in Italia uno si aggira guardingo tra le scrivanie aspettandosi la pugnalata alle spalle in ogni momento, all’estero l’incauto immigrato pensa di avere abbandonato per sempre certe situazioni. E invece no. Se il neofita della vita all’estero incorre nell’errore di chiedere aiuto (non clienti eh, solo qualche dritta), le reazioni sono quasi sempre le stesse: si tenta in vari modi di dargli informazioni fuorvianti o di farlo dubitare delle sue abilità per confonderlo e sminuirlo. Usando una metafora a me cara, è come chiedere a un cercatore di tartufi: “Dove li ha trovati?”. Se vi risponde, certamente non vi dirà la verità.

Consigli per expat

I profili Instagram e i blog dedicati agli expat con consigli per chi ha intenzione di trasferirsi all’estero sono ora di gran moda. Ammetto che nel mio blog ho sempre trattato temi molto diversi (cioè principalmente comunicazione interculturale e stereotipi sull’Italia), ma per una volta ho deciso di unirmi a questo nutrito filone e dare i miei consigli personali. Mi rendo conto che alcuni di questi consigli possano sembrare banali, ma si basano su errori che ho veramente commesso, quindi forse così banali non sono.

Imparare la lingua

Non siete obbligati a imparare la lingua del posto. Se avete già un lavoro in una multinazionale, abitate in una grande città e non vi interessa molto la cultura locale, avanzate la fatica. Se però volete – o dovete – imparare la lingua cercate di partire con il piede giusto.

Innanzitutto, mettetevi in testa che imparare una lingua richiede fatica, e che un’ora di studio la domenica pomeriggio non basta. Poi cercate un’insegnante o una scuola che faccia al caso vostro, e se potete chiedete una lezione di prova. I corsi di gruppo vi permetteranno di conoscere altre persone probabilmente molto simili a voi (e quindi di fare nuove amicizie), ma l’insegnante privata vi può togliere meglio i dubbi e può farvi procedere più rapidamente. Se sospettate non sia adatta a voi, non abbiate paura di dirle subito di cosa avete bisogno e magari di cercare altrove. Quali sono i segnali? Per esempio, se vedete che non si prepara le lezioni e che non vi corregge mai. La mia insegnante il lunedì iniziava la lezione chiedendomi: “Cosa hai fatto lo scorso weekend?”, peccato non avessi ancora studiato i verbi al passato.

Birds of a feather

Nei miei primi anni le mie relazioni con gli autoctoni erano limitate ai miei studenti, poiché tutti i miei amici erano stranieri. Però ho iniziato presto a insegnare italiano e, dato che avevo alcuni gruppi discretamente avanzati, discutevamo spesso di attualità. Mi sono presto resa conto di come le loro opinioni – e il modo in cui le esprimevano – fossero totalmente diverse dalle mie. Il risultato è che ho cominciato a credere di non poter andare d’accordo con gli olandesi. Solo dopo alcuni anni, e dopo aver conosciuto molte persone gentili e di vedute simili alle mie, ho capito che semplicemente ero capitata nel posto sbagliato. Un po’ come Margherita Hack a un congresso di astrologi.

Per cui vi consiglio di iniziare fin da subito a circondarvi di persone simili a voi, che potete trovare per esempio iscrivendovi a corsi di musica e materie artistiche, club di lettura a tema, cori o quant’altro ma, se abitate in Paesi in cui si usa, anche il baretto sotto casa andrà benissimo. Non è detto che in questo modo troverete subito amicizie a voi congeniali, ma è un buon punto di partenza. Non rimandate troppo la ricerca di amicizie pensando “Ci sono cose più urgenti”: trovare persone come noi non è facile, meglio iniziare il prima possibile. Non fatevi andare bene però qualcuno con cui vi sentite a disagio.

In questa fase di ricerca probabilmente verrete avvicinati da qualche coach per expat che dopo aver annusato il vostro bisogno di compagnia inizialmente vi offrirà la propria amicizia e poi, dopo aver conquistato la vostra fiducia, con nonchalance vi proporrà un corso molto costoso (ma scontato apposta per voi!) che risolverà tutti i vostri problemi personali e lavorativi. Se direte “No, grazie” anche la coach-amica svanirà nel nulla. Meglio così.

La prima impressione

Ho scelto di trasferirmi in Olanda dopo quattro giorni di vacanza. Avevo visto donne alte come me, bellissime piste ciclabili e biciclette di ogni foggia e capito che qui pioveva meno che in Inghilterra, dove abitavo. Pensavo bastasse. Non conoscevo la mentalità olandese e non credevo potesse essere così diversa da quella italiana. Non conoscevo la storia e la cultura del Paese, ma non credevo servisse. Così quando poi a lezione di olandese l’insegnante ci ha magnificato la bellezza del Secolo d’oro (così viene chiamato in Olanda il XVII secolo) nessuno di noi stranieri ha chiesto informazioni sulla tratta degli schiavi, che stranamente non era menzionata nel libro. Quando poi il dibattito è passato alle meraviglie dell’integrazione in Olanda, nessuno di noi ha potuto chiedere come è andata con gli abitanti delle isole Molucche e con i surinamesi nel complesso residenziale Bijlmer ad Amsterdam.

Ho capito che prima di trasferirsi all’estero, a meno di doverlo fare in gran fretta, è bene conoscere un po’ la cultura, la storia e se possibile anche la letteratura del luogo in cui andremo ad abitare. Se siete già in grado di comprendere la lingua, leggete i giornali locali. Quanto più riuscite ad approfondire, meglio è. Visitate il Paese magari più di una volta in differenti stagioni, evitate le zone turistiche e cercate di parlare con le persone del posto. Non idealizzatelo, cercate di conoscerne anche gli aspetti storici e sociali più bui e i luoghi meno pittoreschi. Riflettete persino sul panorama: riuscite ad amarlo un pochino? Potreste sentirlo come casa vostra? Provate ad ascoltare anche un po’ cosa vi dicono le vostre emozioni, non usate solo la razionalità: le classiche liste dei pro e dei contro non bastano, serve qualcosa di più.

The pursuit of happiness

L’anno scorso in un commento sotto un mio post una lettrice chiedeva se è possibile essere felici in Olanda. Dato che descrivevo l’enorme differenza culturale tra l’Italia e i Paesi Bassi, ho capito subito di averla scioccata. La mia risposta è stata contemporaneamente sì e no. Si può cioè essere felici o infelici in qualunque posto sulla faccia della Terra (con rarissime estreme eccezioni), perché la felicità non dipende dal luogo in cui ci troviamo, ma è il risultato di un complicatissimo intreccio tra mille fattori a noi esterni (sui quali abbiamo pochissima influenza) e l’atteggiamento con il quale li affrontiamo. Spesso, però, nemmeno il più positivo degli atteggiamenti ci può aiutare, e la caduta nell’infelicità è inevitabile. Dare la colpa solo al Paese in cui abitiamo è una soluzione facile e veloce per trovare un colpevole, ma non serve a nulla. Così come a nulla serve continuare a trasferirsi altrove, convinti che il luogo della nostra felicità esista e abbia una coordinata geografica. In realtà credo la felicità sia una casa molto complessa che dobbiamo costruire con mattoncini preziosi e talvolta introvabili. Servono impegno, dedizione, fortuna e tanti, tantissimi, mattoncini.