Il valore della differenza

La comunicazione interculturale sta vivendo un periodo d’oro in Olanda, dove sono numerosi i libri e i corsi sull’argomento. La motivazione dietro a questa richiesta del mercato è evidente: comunicare con persone di nazionalità diverse dalla propria è indispensabile ed è bene informarsi a fondo per evitare fraintendimenti legati alla cultura. Ovviamente, vista la predisposizione olandese per gli affari, la comunicazione interculturale è qui spesso declinata in salsa business perché conoscere bene il tuo partner ti permetterà di negoziare meglio. I corsi di comunicazione interculturale sono molto richiesti anche dalle grandi multinazionali, perché è importante conoscere le culture dei propri colleghi per evitare conflitti.

In Je mag het altijd ruilen di Wilfred Ploeg troviamo una grande varietà di esempi dei fraintendimenti che capitano a chi non conosce le culture altrui. L’autore tratta spesso la differenza culturale tra olandesi e italiani, ma un racconto è particolarmente interessante perché illustra i diversi punti di vista in occasione di incontri di affari. In particolare, l’autore racconta che negli anni ‘90 KLM e Alitalia tentarono una fusione, la quale fallì non solo per motivi politici ed economici, ma anche per questioni culturali di cui sostiene essere venuto personalmente a conoscenza.

In breve, secondo l’autore entrambe le parti iniziarono a rivolgersi accuse poco piacevoli. Gli olandesi accusarono gli italiani di incapacità nella pianificazione e di essere dei leccapiedi dei propri capi oltre che pigri e caotici. Gli italiani, invece, si focalizzarono su questioni estetiche esprimendo giudizi del genere: “Questi indossano cravatte con Paperino! Non è possibile!”, “Ma si mettono i calzini bianchi! Pazzesco!”. Immancabile il commento a tema alimentare: “Sempre lì a bere il loro bicchiere di latte”.

Il giudizio sugli italiani mostra chiaramente il punto di vista olandese. Infatti, un popolo appassionato di pianificazione non può che vedere negativamente la nostra tendenza a improvvisare. Allo stesso modo, gli olandesi sono abituati a prendere le decisioni attraverso riunioni nelle quali tutti i partecipanti hanno il diritto di esprimere la propria opinione e, dato che la cultura olandese di basa su un profondo senso di uguaglianza, fanno fatica a capire il concetto stesso di gerarchia. Così, è comune che gli olandesi restino piuttosto stupiti quando hanno riunioni di lavoro in Paesi in cui dopo ore di discussioni viene detto loro che non è possibile confermare nulla perché manca il consenso del capo. Lo stesso termine baas – “capo” in italiano – è quasi un insulto in olandese.

Mentre gli olandesi si lamentano per la nostra incapacità di pianificare, gli italiani sollevano solo obiezioni di carattere estetico e alimentare piuttosto fuori luogo in un contesto professionale. Inoltre, mentre gli italiani non sono affatto fieri della propria difficoltà a pianificare, gli olandesi sono orgogliosi della propria “sobrietà”. Così anche dall’opinione degli italiani emerge ciò che gli olandesi considerano un nostro tipico difetto: la superficialità. Il risultato è una situazione dipinta in modo un po’ sbilanciato: da un lato ci sono i superorganizzati salvatori stranieri, dall’altro gli ingrati e superficiali italiani che fanno fallire un accordo commerciale solo perché la controparte indossa cravatte sbagliate.

In questo e altri libri di comunicazione interculturale la mentalità degli autori è spesso visibile fra le righe e, come è ovvio, dal momento che ciascuno crede che la propria cultura sia superiore alle altre, i giudizi espressi nei confronti dello straniero non sono sempre neutri. Mi chiedo se si possa descrivere l’altro senza passare attraverso il proprio punto di vista, così da potersi focalizzare solo sulle questioni che creeranno inevitabilmente conflitti senza esprimere giudizi dall’alto verso il basso. Non so davvero se ciò sia possibile, certo è che aiuterebbe a costruire una vera comunicazione tra i popoli.

Il punto è che conoscere le caratteristiche dell’altro restando ben convinti della propria superiorità non ci aiuta ad aprire gli occhi sul valore della differenza. Meglio sarebbe capire che ogni caratteristica apparentemente negativa nasconde un aspetto positivo. Per esempio, in un suo articolo Pfeijffer fa notare come l’abitudine olandese di decidere tutto attraverso lunghe riunioni non è sempre funzionale, poiché talvolta – ad esempio durante una pandemia – serve una figura di capo che si prenda la responsabilità e decida. Allo stesso modo, anche l’abilità nel pianificare tutto nei minimi dettagli non sempre è qualcosa di positivo. Allo stesso modo Jarl van der Ploeg, ex corrispondente dall’Italia per Trouw, spiega come la nostra scarsa predisposizione per la pianificazione ci abbia portati a sviluppare enormemente la capacità di improvvisare. In occasione del terremoto dell’agosto 2016 si trovava a Roma e, avvertite le scosse, ha deciso di partire in piena notte per recarsi nell’epicentro. Era convinto di trovare il più completo caos e invece ha trovato una realtà in cui ciascuno sapeva perfettamente cosa fare. In certe situazioni è impossibile pianificare ogni aspetto nei minimi dettagli, serve l’abilità di improvvisare.

Quando penso alle differenze culturali mi viene spesso in mente l’installazione di Michelangelo Pistoletto sulla facciata del mercato coperto di Porta Palazzo a Torino, in un quartiere che della differenza è l’emblema. L’installazione consiste nella scritta “Amare le differenze” in diverse lingue. Il punto è che non dobbiamo amare la differenza perché siamo tanto buoni e aperti di vedute, ma perché le differenze sono complementari, perché il “diverso” quasi sempre ci porterà dei valori, un punto di vista o un modo di operare di cui abbiamo disperatamente bisogno per completarci. Purtroppo, per costruire una società equa e multiculturale non basta leggere libri di comunicazione interculturale pensando sia necessario conoscere le altre culture esclusivamente per evitare ostacoli nella comunicazione, ma dobbiamo cercare di prendere le distanze dal nostro punto di vista e iniziare a vedere il misterioso “altro” anche come una necessità. Invece di tenere a distanza la differenza e di fare corsi per imparare a gestire gli stranieri come se fossero sostanze chimiche esplosive, sarebbe bene iniziare a cercare la differenza e capirne il valore.

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