Gli stranieri e i politici italiani

Oggi vorrei tornare alla questione che mi ha fornito lo spunto iniziale per questo blog: “Cosa pensano di noi gli stranieri?”. Chi mi fa questa domanda solitamente si dà anche una risposta senza lasciarmi riflettere: “Spaghetti, pizza e mandolino, vero?”. Non so bene cosa voglia dire pensare di qualcuno “spaghetti”, perché non è una frase di senso compiuto. Però posso dire che a volte pure quell’idea senza senso degli spaghetti è più piacevole di ciò che pensano davvero. Insomma, è giunto il momento di parlare di politica.

Il mio primo lavoro all’estero è stato l’insegnante di italiano in una scuola privata spersa nella campagna del Somerset. Ricordo ancora benissimo il mio primo incontro con il collega di letteratura inglese: mi avevano invitata alla cerimonia per l’inaugurazione dell’anno scolastico, che si sarebbe tenuta nella bellissima cattedrale di Wells. Prima della cerimonia i colleghi mi invitano a prendere un caffè con loro – sì, nelle cattedrali inglesi spesso c’è una caffetteria – e un tipo si avvicina, mi tende la mano e mi chiede (ovviamente in inglese): “Ah, sei italiana? E cosa ne pensi delle ronde leghiste?”. Faccio lo sguardo del capriolo che fissa immobile i fari dell’auto. Capisce cosa sto pensando: “Sorry, deve essere un argomento imbarazzante”. Il caro collega poi ha recuperato la mia considerazione quando mi ha detto di essere un grande fan di Dante, ma il primo incontro è stato tragico.

Negli anni successivi è arrivato il peggio: una sfilza incredibile di domande fatte a volte con curiosità ingenua ma spesso con un pizzico di perversione e tanta voglia di mettermi in imbarazzo. L’argomento è sempre lo stesso: Berlusconi. Di lui mi hanno chiesto come hanno fatto gli italiani a votarlo, se fa ancora le sue feste assatanate (la parola “bunga-bunga” è tra le parole in italiano più note all’estero, credo stia per scalzare “lasagna”), quanti anni hanno le sue innumerevoli amanti, se è davvero così come appare sui giornali esteri e perché si tinge i capelli. Ho tollerato pazientemente le domande finché almeno Silvio faceva parte del governo e poi, quando è uscito dalla maggioranza, ho pensato: “Troveranno qualche altra sciocchezza da chiedermi, se lo dimenticheranno”. E invece no, anche ora che la sua influenza sul panorama politico italiano si è notevolmente ridotta, Berlusconi è una delle persone che vengono più frequentemente associate all’Italia. Ora la domanda è: “Ma come fa a essere ancora lì?”, e tipicamente mi chiedo: “Lì dove? Dobbiamo mandarlo via come abbiamo fatto con i Savoia per farvi contenti?”. Il problema è che la vera domanda che molti vorrebbero pormi, ma che è sempre ben nascosta dietro le altre in quanto un pochino proibita, è: “Ma come avete fatto a essere così sciocchi da votarlo per tutti questi anni?”.

Credo che i media esteri siano in buona parte responsabili della situazione. Ho tentato di contare i libri scritti su di lui in Italia e all’estero negli ultimi trent’anni, ma ho lasciato perdere. Perché poi ci sarebbero gli articoli di giornale, e poi i documentari e i servizi dei telegiornali, tutti strutturati in modo tale da sottolineare la depravazione del politico e solitamente incentrati sui particolari più scabrosi. Per fortuna, ho trovato un’eccezione. In Proeftuin Italië gli storici olandesi Pepijn Corduwener e Arthur Weststeijn raccontano il berlusconismo fin dalla sua nascita e mostrano come l’Italia sia semplicemente il luogo in cui vengono “sperimentati” fenomeni che poi si spandono per il continente o persino in tutto l’Occidente. Così, mentre sono in molti a vedere Berlusconi come l’archetipo del tipico italiano superficiale, macho e poco rispettoso delle regole, pochi altri hanno compreso che è semplicemente stato il creatore di trend quali la personalizzazione della politica e la scomparsa dei partiti tradizionali, sostituiti da movimenti che promettono di incarnare i valori e il linguaggio dell’uomo comune.

Tuttavia, credo che la considerazione che i media e i cittadini esteri hanno della politica italiana non cambierà mai, e a mio parere ciò è dovuto anche agli indubbi vantaggi degli stereotipi, che ci aiutano a capire il mondo senza fare troppa fatica. I Paesi e le loro relative culture sono davvero troppi per poter leggere saggi storici su ciascuno, mentre gli stereotipi ci permettono di incasellare tutti i popoli e le loro caratteristiche in modo semplice e veloce, e vengono utilizzati anche dai giornalisti. Infatti, mentre quelli italiani – esterofili proprio come noi – descrivono le meraviglie del misterioso estero ed elencano le magagne del proprio Paese, i corrispondenti esteri cercano meticolosamente conferme ai loro luoghi comuni forse perché stupire il proprio pubblico sarebbe difficile e anche in parte controproducente. In fin dei conti gli stereotipi sono rassicuranti: cosa pensereste a scoprire che anche in Svizzera i treni sono talvolta in ritardo? Sareste contenti o pensereste “Neanche in Svizzera i treni sono più puntuali! Dove andremo a finire?”. Al mondo serve un posto in cui i treni sono sempre puntuali. E allo stesso modo servono luoghi che incarnino ogni possibile bruttura della società moderna così da lasciar credere chi abita al di là delle Alpi che nel proprio Paese, dato che non c’è Berlusconi, va tutto assolutamente bene.