Lo pane altrui

Su questo blog l’alimentazione è un tema di cui ho già molto parlato. Che ci sarà ancora da dire, direte voi. Ebbene, penso di aver appena sfiorato l’argomento perché come spiega il critico gastronomico inglese Jay Rayner, il cibo è solo apparentemente qualcosa di leggero e superficiale. Quando ha iniziato a scrivere di ristoranti era un rispettabile giornalista di cronaca e, per quanto l’idea di essere pagato per cenare nei migliori posti del Regno Unito gli sembrasse un sogno, in realtà non gli pareva affatto un avanzamento di carriera. Però si sbagliava perché, come ha poi avuto modo di scoprire, il cibo dà l’opportunità di parlare di società, di costume, di ambiente, di economia e di tanto altro ancora. A me poi il rapporto con il cibo serve per spiegarvi bene le differenze culturali perché conosco l’importanza della cucina e della convivialità nella cultura italiana. Infatti, so che con esempi in altri ambiti rischio il solito: “Sì, vabbè, ma anche [abitanti di una regione italiana lontana dalla nostra] sono strambi”. Solo portando esempi legati all’alimentazione riesco a farvi percepire la portata e l’impatto delle differenze culturali.

Alcuni mesi fa una mia amica e suo marito vengono invitati per un aperitivo (in olandese si chiama borrel) a casa di amici olandesi. Dato che a mani vuote non si va, porta come regalo una torta e una piantina. L’aperitivo pare protrarsi a lungo, quindi le viene chiesto se vuole fermarsi per cena, lei accetta e l’amica ordina qualcosa da asporto. A fine serata si salutano, e una ventina di minuti dopo avviene il crimine: l’amica olandese le manda un tikkie, che consiste in una richiesta di pagamento digitale, per la cena. L’evento ha scioccato la mia amica italiana al punto tale che lo ha raccontato ai suoi genitori in Italia, e loro le hanno intimato di evitare ogni altra relazione con la coppia. Io invece ho riso molto perché mi è accaduto qualcosa di simile anni fa: alcune amiche mi invitano a un picnic, preparo alcuni stuzzichini e vado. Una ragazza che conoscevo a malapena dice di essere passata al supermercato e mette sulla tovaglia alcune tartine meno appetitose delle mie e una bottiglia di vino rosé che mi guardo bene dal toccare. A distanza di un anno – in cui non ci eravamo viste – mi arriva la richiesta di pagamento di 5€. Puntualmente pago e cancello il suo numero dalla rubrica. Non credo tale rituale sia molto comune ma, dato che molti altri expat ne hanno parlato su twitter, neanche poi così raro. È certamente una soluzione frugale e pratica ma, a ben pensarci, è anche un’ottima strategia per liberarsi di noi mediterranei senza essere troppo espliciti.

Ma è il rito del caffè a sconvolgerci sempre. “Vieni una volta per un caffè a casa mia?” si dice. Il caffè è accompagnato solitamente da biscotti, solo che mentre nella tradizione italiana ci tocca dribblare le continue richieste: “Prendi ancora un cioccolatino! Prendi una fetta di panettone! Prendi qualcosa! Ma che, sei a dieta?”, nella tradizione olandese la scatola dei biscotti viene porta al commensale solo con il caffè, e poi si chiude e si mette via. In realtà potete ritenervi anche soddisfatti se un biscotto vi viene offerto, perché conosco persone a cui era stato detto: “Vieni a prendere un caffè a casa mia” e hanno viaggiato con fiducia un’ora per ricevere esattamente solo un caffè. Non era un modo di dire, era proprio solo un invito per un caffè. Lo stesso mi è stato detto da un mio studente di origine turca ma nato e cresciuto in Olanda: “Alcuni colleghi mi hanno invitato per una festa. Vado e vedo che hanno preparato solo una ciotolina con delle arachidi. E pensare che quando vado da mia madre trovo sempre il tavolo coperto di cibo e devo pregarla di smettere di tirare fuori cose dal frigo”.

Alcuni post fa ho già parlato del culto olandese per i panini, ma è necessario tornare sull’argomento perché manca un tassello. Innanzitutto il pane consumato quotidianamente è industriale, del tipo che non ammuffisce né si deteriora neanche dopo settimane, ma mantiene intatta tutta la sua gommosa sofficità. Oltre al tipo a fette esiste anche quello a pagnottella, alcune delle quali vengono definite luxe o “di lusso”. A volte il lusso sta nell’aggiunta di burro o altri aromi (tipo olive o uvetta) all’impasto, ma spesso sono identiche alle altre. Uno studente mi ha recentemente detto che la domenica fa colazione con “pane di lusso”, e ho fatto fatica a spiegargli che in Italia non associamo il pane al lusso. Da noi un’auto può essere di lusso, il pane è semplicemente fresco o stantio. Neanche la più burrosa e decadente delle nostre pagnottelle potrebbe mai essere definita di lusso, nemmeno la focaccia. E poi, dato che siamo molto poco frugali, se abbiamo tempo di andare in panetteria consumiamo pane fresco tutti i giorni. La settimana scorsa un collega del mio compagno lo ha sorpreso addentare un panino “di lusso” e glielo ha fatto subito notare: “Ma quello è luxe!”. Ho riso pensando a cosa avrebbe detto invece un italiano: “Ah, buono quello! Dove l’hai preso?”. Perché siamo così profondamente immorali che se becchiamo qualcuno intento a mangiare qualcosa di buono cerchiamo di procurarcelo, non di fargli venire i sensi di colpa.

So bene che questi tre racconti vi hanno sorpresi – accade sempre quando si parla di altre tradizioni alimentari a italiani – ma ora è necessario fare un po’ di ginnastica mentale. Se in Italia dopo una cena a casa di un collega olandese riceveste un invito di pagamento vi arrabbiereste moltissimo, non paghereste, e probabilmente passereste al contrattacco prendendolo in giro selvaggiamente con l’intero ufficio. Ora immaginate di vivere in un posto in cui invece è raro vedere una panetteria o una pasticceria in città, e l’odore del pane fresco è un miraggio. Un posto dove nemmeno d’estate, quando le finestre sono aperte, si sente mai il rumore delle posate all’ora di pranzo, perché si mangiano solo panini, e dove qualcuno potrebbe guardarvi in modo strano, o quantomeno incuriosito, perché state pranzando sul balcone di casa vostra con una fetta di lasagna e un bicchiere di vino. Immaginate però di essere in minoranza, e perciò automaticamente quelli “strani”. Immaginate la tensione tra cosa è giusto per voi, e cosa invece lo è per tutti gli altri, e la vostra voglia di venire accettati. Ecco, vi ho dato un piccolo assaggio del mio mondo.