Galateo minimo per le interazioni con gli stranieri

A volte nel mio blog ho parlato della difficoltà a avere conversazioni piacevoli con alcuni autoctoni, ma devo ammettere che le domande inopportune raramente sono intenzionali. Dalle interazioni con i miei vicini di casa – perlopiù over 60 sempre vissuti in una cittadina con pochi stranieri – ho capito che le loro gaffe sono semplicemente il risultato di una scarsa abitudine ad avere a che fare con il misterioso “altro”.

Questo problema mi ha fatto venire in mente una vecchia Bustina di Minerva, la rubrica che teneva ogni settimana Umberto Eco sull’Espresso. Ricorderete tutti quando Berlusconi chiamò il neoeletto Obama “abbronzato”. Le reazioni alla sua ennesima uscita infelice furono come al solito diverse: chi si vergognava, chi diceva che non era affatto una gaffe e non c’era nulla di offensivo, chi pensava che Berlusconi fosse proprio un simpaticone. Eco spiegò che l’espressione non era inequivocabilmente offensiva e chiaramente non era questo l’intento. Il punto è che cosa diciamo (e come lo diciamo) svela al mondo il nostro intimo più dell’abito che indossiamo.

In questo caso, alcune frasi lasciano intendere che certe persone non hanno avuto molto a che fare in vita loro con persone provenienti da altri Paesi. Non c’è nulla di offensivo, intendiamoci, magari alcuni avrebbero voluto viaggiare molto o lavorare in un ambiente internazionale e non ci sono riusciti, ma certamente questo è il risultato. Lo straniero tipicamente capisce la situazione, porta pazienza e non commenta, però probabilmente cercherà di evitare contatti con quella persona in futuro se possibile. Quindi, se volete (o dovete) avere molto a che fare con stranieri ecco il mio piccolo vademecum.

1. “Può ripetere per favore?”

A volte lo straniero vi chiede di ripetere cosa avete detto non perché ha problemi con la vostra lingua, ma perché non ha sentito. Molte possono essere le cause: problemi di udito, era distratto, avete bofonchiato, c’è molto rumore o la stanza ha una pessima acustica. Spesso la reazione del locale è di passare all’inglese. Non fatelo: se ha problemi con la lingua ve lo dirà lui.

2. Tutto il mondo (o quasi) è paese

La scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie in un suo discorso per il TED ha raccontato di quando, appena arrivata negli Stati Uniti, la sua compagna di stanza americana le ha prima fatto i complimenti per il suo inglese e poi le ha chiesto di farle ascoltare “la sua musica tribale” e lei le ha allungato una cassetta di Mariah Carey.

Allo stesso modo gli olandesi spesso si stupiscono quando dico che in vita mia ho ascoltato più musica in inglese che in italiano. Una volta una signora mi ha chiesto stupita: “Ah, come mai non ti piace Eros Ramazzotti?”. La globalizzazione è arrivata anche nella provincia italiana da cui provengo ed è forse la causa dell’iscrizione di molte ragazze alla facoltà di lingue straniere. Ma gli esempi sono molti e anche non attinenti alla musica perché, per esempio, pare strano che una italiana non vada a messa la domenica e parli bene l’inglese. Il punto è: non esotizzate lo straniero, spesso è davvero molto simile a voi.

3. “Tu dove andare?”

Una volta sul treno in Italia ho sentito una distinta coppia italiana parlare in modo davvero bizzarro con un ragazzo straniero: lui si esprimeva in un italiano molto semplice ma non troppo scorretto, loro hanno improvvisamente smesso di declinare i verbi. Sembrava di guardare un cartone animato.

A me è invece capitato che il locale si mette a fare gesti mentre parla. “Siete venuti in macchina?” mi chiede, e intanto muove le mani come se avesse un volante. Mancava poco che facesse “brum brum”. Avevo appena letto e firmato un complicatissimo documento sulla privacy in olandese e questo avrebbe potuto convincere la persona davanti a me delle mie doti linguistiche. E invece no. Magari non parlate come un politico della prima repubblica a uno straniero appena arrivato, ma evitate gesti sciocchi e sgrammaticature. Se scandite bene le parole e tenete sotto controllo la velocità lui vi capirà.

4. “Come vanno le tue lezioni di lingua?”

Nove anni fa questa era una domanda logica, ora non più. Molti però me la fanno ancora credendo che il motivo per cui parlo poco è che non ne sono in grado. E invece ci sono almeno centinaia di altre ragioni: perché sono timida, perché a volte non so cosa dire, perché “bel tempo, vero?” non mi pare una conversazione, perché alcune persone mi stanno antipatiche, perché a volte sono stanca o di fretta… Però spesso ciò porta il mio interlocutore a pensare che non so parlare la sua lingua e si infila in una domanda un po’ inopportuna.

5. Il nativesplaining

Dopo il mansplaining c’è anche chi vuole spiegare allo straniero cose che sa già (in Piemonte diciamo “non insegnare al gatto ad arrampicarsi”). Mi è successo la prima volta quando vivevo in Inghilterra da poco tempo. Ero andata con alcune colleghe allo Starbucks, e una di loro mi ha vista in difficoltà davanti al menù. Era la mia prima volta nella famosa catena di caffetterie, e mi ero persa tra dimensioni, sciroppi e frappuccini… così lei ha deciso di aiutarmi. “That’s a ‘latte’. It means ‘milk’”. Meno male che è venuta in mio soccorso, da sola non ci sarei mai arrivata!

Poi anni dopo un commesso in un negozio di caffè mi ha spiegato come funziona una Bialetti e l’amministratore di condominio mi ha svelato l’esistenza delle stufette elettriche. Ecco, dello straniero sapete poco: potrebbe avere un livello di istruzione minimo oppure una cultura sterminata. Voi limitatevi alle spiegazioni base e entrate nei particolari solo se ve lo chiede.

6. “Sei alta per essere italiana!”

Nei miei quattordici anni di permanenza all’estero ho capito che per gli stranieri le italiane sono tutte come Monica Bellucci. Diciamo che non è un brutto stereotipo… però non corrisponde molto al vero. Così molti hanno commentato con stupore la mia statura (1,85m) o mi hanno detto che ho la pelle scura anche se a dire il vero sono più pallida di molti olandesi.

È senza dubbio vero che in Italia la mia statura è più straordinaria che nei Paesi Bassi, ma è anche vero che noi italiane non siamo tutte le classiche donne con riccioli scuri e vestito a sirena che vediamo nella serie TV del commissario Montalbano. Quindi meglio evitare commenti sul fisico perché sono spesso basati su stereotipi che poco hanno a che fare con la realtà. Io, per dire, prima di trasferirmi pensavo che in Olanda tutti fossero come Ruud Gullit e Clarence Seedorf, gli unici olandesi che mi venivano in mente.

7. Parlate la stessa lingua

A volte lo straniero in Olanda chiede – e giustamente ottiene – di parlare inglese. Spesso però parla olandese e si vede rispondere in inglese. Questo mi è successo innumerevoli volte, e talvolta mi sono trattenuta a fatica dallo scoppiare a ridere perché ho assistito a conversazioni di parecchi minuti in cui lo straniero e il locale parlavano due lingue diverse. A volte poi – sì, nelle piccole città accade – il locale arrancava in inglese e lo straniero era perfettamente a suo agio in olandese.

Non passate automaticamente all’inglese pensando di fare un favore allo straniero. Potrebbe non parlarlo, o magari sta cercando di fare esercizio nell’altra lingua. È persino possibile che lo parli molto meglio di voi, e questo vi espone a una potenziale figuraccia che vi sareste potuti evitare.

8. Per nome e cognome

Nei miei quattordici anni di vita all’estero molti hanno cercato di decifrare la mia provenienza basandosi sul mio nome e cognome. Il risultato è stato piuttosto divertente, perché ho capito che chi si chiama Elena deve essere per forza di origine greca o slava. Il mio cognome invece mi ha portata nei paesi baschi e una volta persino nei Caraibi.

Il punto è che i popoli da sempre si spostano e i cognomi non sono in grado di aiutarci a capire la provenienza di qualcuno. Per fare qualche esempio, un mio compagno di classe a un corso di olandese si chiamava Witteveen ma era equadoregno, ma conosco francesi e brasiliani con cognomi tedeschi e olandesi con cognomi indonesiani. Invece di provare a indovinare la provenienza è meglio chiedere.

9. La corretta pronuncia

A proposito di nomi e cognomi… non abbiate paura di chiederci la pronuncia. Sappiamo benissimo che alcune combinazioni di suoni (tipo il /ch/ in italiano) sono difficili per gli stranieri, ma ci secca sentire pronunciare male il nostro nome ogni giorno da persone a noi vicine. Siamo pazienti in alcune situazioni – stiamo sempre sulle spine nelle sale d’aspetto perché non sappiamo mai come verrà storpiato questa volta e se riusciremo a riconoscerlo – ma ci piace quando colleghi e vicini pronunciano bene il nostro nome. Chiedeteci di spiegarvi come si pronuncia, lo faremo volentieri, anche più volte.

10. Ti spiego il tuo Paese

I media stranieri amano occuparsi dell’Italia specialmente quando c’è di mezzo qualche nefandezza. Nei miei numerosi anni all’estero ho visto innumerevoli reportage dei telegiornali sulla Costa Concordia, sulla mafia e sui ponti crollati, pochi sulle nostre eccellenze. Ciò porta gli stranieri a pensare di aver capito proprio tutto dell’Italia (e a volte anche a credere che il problema principale dell’Italia siano tutti i suoi abitanti).

Così capita a volte che il giorno dopo un evento che ci ha posti sulle prime pagine di tutti i quotidiani esteri l’autoctono provi a spiegarti il tuo Paese: “Ahh, io lo so perché il ponte di Genova è crollato”. Dato che si stavano ancora cercando le vittime questa frase mi è sembrata piuttosto inopportuna. Ma lo stesso avviene puntualmente dopo ogni elezione politica, quando l’italiano all’estero vorrebbe darsi malato per non incorrere nei commenti dei colleghi che vanno due settimane in vacanza in Italia ad agosto, ma si credono fini conoscitori di questioni che sfuggono alla maggior parte di chi nella penisola è nato e cresciuto. Leggete e cercate di informarvi da fonti attendibili, ma non spiegate allo straniero il suo Paese. Piuttosto, se la situazione lo permette (cioè, se lo straniero ne ha voglia), chiedetegli di spiegarvelo lui. Potrebbe raccontarvi un punto di vista privo di stereotipi al quale altrimenti non avreste accesso.

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