I’ve got the power

Il mio primo incontro con un emigrato è avvenuto molti anni fa. Ero ancora una studentessa universitaria e avevo partecipato a uno scambio organizzato dalla mia università con quella della cittadina tedesca di Bielefeld. Lì ho avuto l’opportunità di incontrare Salvatore, un signore siciliano che ha lasciato negli anni ‘60 la Sicilia per andare a lavorare in Germania. Al termine del suo racconto in tedesco è passato all’italiano, perché le emozioni si raccontano meglio nella propria lingua, e ci ha spiegato la sua condizione. “Sapete” ha detto a questo gruppetto di ragazze italiane che lo fissava con curiosità “ora sono pensionato e mi sono comprato una casetta in Sicilia dove vado per trascorrere le vacanze. Ma là sono un tedesco, mentre per i tedeschi qua sono e sarò sempre un siciliano”. Il carico di emozioni è cresciuto ancora quando ho incontrato la figlia e il genero di Salvatore, anche lui un italiano. Mentre lei, nata e cresciuta in Germania, faceva un po’ fatica a fare un discorso complesso nella nostra lingua, lui ci ha fatto una richiesta un po’ particolare: “Ricordateci ai nostri connazionali in Italia, perché si sono dimenticati di noi”. All’epoca mi era sembrata una richiesta un po’ melodrammatica, ora inizio a capirne il senso, anche se cerco di non scivolare mai nel melodramma e, se sento che sta succedendo, mi aggrappo all’ironia, un approccio che mi è decisamente più congeniale.

Noi italiani all’estero capiamo perfettamente lo stato d’animo di Salvatore, ma ne parliamo raramente, perché in fin dei conti dobbiamo tenere bene sotto controllo stati d’animo ed emozioni, e certi ambiti sono rischiosi. A volte però giochiamo a fare una gara di metafore. Una delle migliori viene da un conterraneo che lavora nella ristorazione, che ne ha formulata una attinente al suo settore: “Non siamo più né aglio né cipolla”. Anche se bella e utile a ricordarmi i sani principi del soffritto, penso sempre che essere un qualcosa di diverso dai due protagonisti del sugo di pomodoro non sia una tragedia. Magari la perfetta base per il sugo ancora deve essere scoperta e saremo noi a farlo.

La mia metafora preferita è decisamente più positiva: abbiamo acquisito dei poteri straordinari e siamo diventati dei supereroi. Si sa che i supereroi non hanno una vita relazionale proprio semplice, però in fin dei conti hanno un superpotere che gli invidiamo tanto, e che li ricompensa di tutto il resto. Ecco qui il mio elenco dei superpoteri degli emigrati.

La super lingua

Quando ho lasciato l’Italia avevo appena ultimato una laurea specialistica in letteratura inglese e passato l’IELTS Academic con un mega punteggio, eppure arrivata in Inghilterra ho scoperto di aver ancora molta strada da fare, perché mi mancava totalmente l’inglese colloquiale (parolacce incluse) e l’humour, e poi non sapevo distinguere né comprendere gli accenti. Quando ho iniziato a capire e a ridere a crepapelle alle battute di John Bishop, un famoso comico di Liverpool, ho capito che il mio inglese stava finalmente andando nella direzione giusta. Ho capito che imparare le lingue in Italia è assolutamente possibile, ma solo all’estero assumono spessore ed è possibile imparare le sfumature di significato e affinare il proprio orecchio.

Poi, dopo alcuni anni all’estero le conoscenze strettamente linguistiche e quelle comunicative si intrecciano e vanno a costituire un nuovo fantastico superpotere. Per esempio, noi emigrati sappiamo che se andiamo dal nostro capo inglese con una proposta e lui ci risponde: “Are you sure about that?” non vuole sapere se ne siamo sicuri, ma pensa che sia una completa idiozia. Se questa è la reazione dei timidi inglesi, un capo olandese invece vi dirà ciò che pensa nel modo più diretto e brutale possibile, perché nelle terre piatte tutto è efficiente – anche la comunicazione – e nessuno ha tempo e parole da sprecare. Così noi emigrati abbiamo imparato a adattare la comunicazione orale e scritta in base al Paese in cui siamo andati a vivere.

Ma il superpotere delle lingue non si ferma qui. Wittgenstein diceva che i limiti delle lingue sono i limiti del nostro mondo, poiché non possiamo descrivere concetti dei quali non possediamo le parole. Avete mai sentito un vostro conterraneo emigrato all’estero dire: “Come dicono in [nome del posto in cui vive]” prima di spiegarvi un modo di dire o un termine che non può essere tradotto? Non si sta vantando del suo superpotere, vuole semplicemente esprimere un concetto o una sfumatura che nella vostra lingua non esiste. A ogni nuovo modo di dire o espressione che imparo mi sento come un passerotto che sta allenando le proprie ali per voli che un giorno (forse) non conosceranno limiti.

Il super adattamento

Nei miei primi cinque anni all’estero ho cambiato casa sette volte e accumulato così tante esperienze – perlopiù negative – da riempire un’enciclopedia. Innanzitutto, ho capito che in Inghilterra le case vanno visitate più con il naso che con gli occhi, perché questo è l’unico modo per scovare l’onnipresente macchia di muffa, che spesso viene sapientemente coperta dalle tende. Poi mi si è rotto il riscaldamento nell’unica giornata decisamente sottozero dell’anno, ho abitato alcuni mesi in una stanza praticamente grande quanto un letto singolo e avuto tante fantastiche disavventure che vi lascio solo immaginare.

Così quando sento stanziali disquisire per ore sul tessuto delle coperte da comprare o lamentarsi del fatto che hanno potuto portarsi dietro “solo” una valigia in vacanza, mi viene da sorridere. Noi emigrati sviluppiamo costantemente il nostro spirito di adattamento fino a portarlo a livelli impossibili, siamo delle chiocciole abituate a spostarsi con solo l’indispensabile, a dare costantemente una nuova forma al proprio mondo.

La super conoscenza

Prima di trasferirmi in Olanda sapevo ben poco del Paese, ma ho presto capito che solo parlando con gli olandesi avrei potuto ottenere le informazioni che mi interessavano. Per esempio, conoscevo a grandi linee la storia del Paese, ma si trattava di nozioni imparate sui libri di scuola e totalmente prive di emozioni. In Olanda ho visto che quando le persone parlano del Secolo d’Oro (il XVII secolo) e della VOC (la Compagnia delle Indie orientali) improvvisamente si illuminano, un po’ come quando noi italiani ci riempiamo di orgoglio nel vedere gli sguardi dei turisti davanti ai capolavori del Rinascimento. Ho capito che sentirsi raccontare la storia da chi la “sente” davvero dà un nuovo spessore alle nostre conoscenze, e che è qualcosa che nessun libro di scuola può darci.

Allo stesso modo so che molti italiani non hanno capito perché gli inglesi hanno votato per la Brexit, ma a chi come me conosce un po’ il nord-est dell’isola è apparso subito evidente. Purtroppo, certi aspetti non si capiscono leggendo i quotidiani italiani (che dedicano così poca attenzione all’estero) o in qualche giorno di vacanza, bisogna parlare con chi è del posto e imparare a vedere con gli occhi dei local.

La migrazione ci regala l’abilità di vedere certe situazioni da un punto di vista diverso. Così, anche se è certamente vero che abbiamo perso il contatto con il punto di vista italiano – lo dimostra il fatto che alle ultime elezioni politiche gli italiani all’estero hanno votato in modo molto diverso da quelli in Italia – ne abbiamo acquistato uno diverso, che guarda oltre i confini di uno Stato e abbraccia tutto il continente che è diventato ora la nostra vera casa.

La super comunicazione

Questo è il superpotere più difficile da spiegare. Il punto è che ovunque io mi trovi, all’estero o in Italia, sento di avere particolare facilità a relazionarmi con altre persone che in quel momento hanno lo status di straniero. So che pare strano, ma noto sempre che mentre gli stanziali hanno qualche attimo di esitazione (forse stanno pensando: “Chissà se morde”), a noi emigrati basta uno sguardo e stabiliamo subito un contatto.

So che è facile legare questo superpotere alla nostra abilità linguistica e all’abitudine a comprendere accenti “non convenzionali”, ma credo sia soprattutto il risultato della nostra condizione. Da anni vivo con la perenne consapevolezza del mio status di “altro”, e so che il minimo dettaglio (un gesto, una parola, il mio accento…) può tradire la mia identità e influenzare (spesso negativamente) la reazione degli altri. Forse è grazie a ciò che ho facilità a comunicare e fare amicizia con chi, proprio come me, so essere in costante cammino su una corda, in perenne ricerca di equilibrio tra il desiderio di essere sé stesso e quello di nascondere la propria identità per integrarsi meglio.

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Ora veniamo, ahimè, alle dolenti note. Così come i super eroi sono spesso costretti a nascondere la loro vera identità, anche noi emigrati abbiamo qualche problemino con i nostri superpoteri. Mi sono accorta nel corso di colloqui di lavoro sia in Inghilterra che nei Paesi Bassi che i datori di lavoro invece di apprezzare le nostre incredibili capacità comunicative e la nostra flessibilità, hanno dubbi rispetto alle nostre qualifiche, e sono tanti gli stranieri come me ad aver riscontrato questo problema. Semplicemente, credo che all’aprirsi di una posizione loro abbiano già in mente un titolo di studio ben preciso che il candidato ideale deve possedere, e le nostre qualifiche molto spesso confondono gli addetti al personale. Diciamo che assumere noi è un po’ come comprare un pacco sorpresa: è possibile che il valore del contenuto sia di gran lunga superiore al costo, ma dato che i nostri ingredienti non sono indicati chiaramente sulla scatola si tratta comunque di un rischio che pochi vogliono correre. Così continuiamo imperterriti a accumulare corsi e attestati in ogni luogo in cui andiamo a vivere per dimostrare che abbiamo certificazioni in ogni lingua e che abbiamo compiuto notevoli sforzi per adattarci, solo che a ogni corso veniamo considerati dei principianti, come se il nostro curriculum precedente non esistesse. Forse anche la nostra perseveranza e la nostra pazienza senza limiti sono un superpotere.

2 pensieri su “I’ve got the power”

  1. Grazie molto per le sue blogs che recevo gia da molto tempo e che mi fanno piacere. Sono olandese, vedova di un italiano e non ho piu molto occasione a parlare in italiano! non ho mai visuto in Italia, pero sono ‘fuori’ dall’Olanda da quasi 50 anni. Vivo in Francia e quando leggo le sue blogs, capisco troppo bene che cosa vuole dire. Oggi mi ha fatto sorridere, lei parla di non essere ‘né cipolla, né aglio’ mentre io direi: ‘ik ben geen vlees en geen vis’
    e cosi vanno le cose….Communque, la patria e la patria ma quando ci siamo, la vediamo dall’ esterno….come la faccio anche un po’ qui in Francia! La via e lunga,
    e a piu da fare colla cultura che la lingua… per esempio a me, dopo tanti anni, guardo molto volentieri alla tv olandese, sopratutto per i programmi in qui si parla… cultura? si

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    1. Mi fa piacere che i miei post le piacciano. Io invece non riesco proprio più a vedere la televisione italiana: quando abitavo in Italia la guardavo e trovavo alcuni programmi interessanti, ora a parte pochissime eccezioni non ci riesco più. Mi sono abituata troppo alla stile della BBC 🙂

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