Consigli per expat

I profili Instagram e i blog dedicati agli expat con consigli per chi ha intenzione di trasferirsi all’estero sono ora di gran moda. Ammetto che nel mio blog ho sempre trattato temi molto diversi (cioè principalmente comunicazione interculturale e stereotipi sull’Italia), ma per una volta ho deciso di unirmi a questo nutrito filone e dare i miei consigli personali. Mi rendo conto che alcuni di questi consigli possano sembrare banali, ma si basano su errori che ho veramente commesso, quindi forse così banali non sono.

Imparare la lingua

Non siete obbligati a imparare la lingua del posto. Se avete già un lavoro in una multinazionale, abitate in una grande città e non vi interessa molto la cultura locale, avanzate la fatica. Se però volete – o dovete – imparare la lingua cercate di partire con il piede giusto.

Innanzitutto, mettetevi in testa che imparare una lingua richiede fatica, e che un’ora di studio la domenica pomeriggio non basta. Poi cercate un’insegnante o una scuola che faccia al caso vostro, e se potete chiedete una lezione di prova. I corsi di gruppo vi permetteranno di conoscere altre persone probabilmente molto simili a voi (e quindi di fare nuove amicizie), ma l’insegnante privata vi può togliere meglio i dubbi e può farvi procedere più rapidamente. Se sospettate non sia adatta a voi, non abbiate paura di dirle subito di cosa avete bisogno e magari di cercare altrove. Quali sono i segnali? Per esempio, se vedete che non si prepara le lezioni e che non vi corregge mai. La mia insegnante il lunedì iniziava la lezione chiedendomi: “Cosa hai fatto lo scorso weekend?”, peccato non avessi ancora studiato i verbi al passato.

Birds of a feather

Nei miei primi anni le mie relazioni con gli autoctoni erano limitate ai miei studenti, poiché tutti i miei amici erano stranieri. Però ho iniziato presto a insegnare italiano e, dato che avevo alcuni gruppi discretamente avanzati, discutevamo spesso di attualità. Mi sono presto resa conto di come le loro opinioni – e il modo in cui le esprimevano – fossero totalmente diverse dalle mie. Il risultato è che ho cominciato a credere di non poter andare d’accordo con gli olandesi. Solo dopo alcuni anni, e dopo aver conosciuto molte persone gentili e di vedute simili alle mie, ho capito che semplicemente ero capitata nel posto sbagliato. Un po’ come Margherita Hack a un congresso di astrologi.

Per cui vi consiglio di iniziare fin da subito a circondarvi di persone simili a voi, che potete trovare per esempio iscrivendovi a corsi di musica e materie artistiche, club di lettura a tema, cori o quant’altro ma, se abitate in Paesi in cui si usa, anche il baretto sotto casa andrà benissimo. Non è detto che in questo modo troverete subito amicizie a voi congeniali, ma è un buon punto di partenza. Non rimandate troppo la ricerca di amicizie pensando “Ci sono cose più urgenti”: trovare persone come noi non è facile, meglio iniziare il prima possibile. Non fatevi andare bene però qualcuno con cui vi sentite a disagio.

In questa fase di ricerca probabilmente verrete avvicinati da qualche coach per expat che dopo aver annusato il vostro bisogno di compagnia inizialmente vi offrirà la propria amicizia e poi, dopo aver conquistato la vostra fiducia, con nonchalance vi proporrà un corso molto costoso (ma scontato apposta per voi!) che risolverà tutti i vostri problemi personali e lavorativi. Se direte “No, grazie” anche la coach-amica svanirà nel nulla. Meglio così.

La prima impressione

Ho scelto di trasferirmi in Olanda dopo quattro giorni di vacanza. Avevo visto donne alte come me, bellissime piste ciclabili e biciclette di ogni foggia e capito che qui pioveva meno che in Inghilterra, dove abitavo. Pensavo bastasse. Non conoscevo la mentalità olandese e non credevo potesse essere così diversa da quella italiana. Non conoscevo la storia e la cultura del Paese, ma non credevo servisse. Così quando poi a lezione di olandese l’insegnante ci ha magnificato la bellezza del Secolo d’oro (così viene chiamato in Olanda il XVII secolo) nessuno di noi stranieri ha chiesto informazioni sulla tratta degli schiavi, che stranamente non era menzionata nel libro. Quando poi il dibattito è passato alle meraviglie dell’integrazione in Olanda, nessuno di noi ha potuto chiedere come è andata con gli abitanti delle isole Molucche e con i surinamesi nel complesso residenziale Bijlmer ad Amsterdam.

Ho capito che prima di trasferirsi all’estero, a meno di doverlo fare in gran fretta, è bene conoscere un po’ la cultura, la storia e se possibile anche la letteratura del luogo in cui andremo ad abitare. Se siete già in grado di comprendere la lingua, leggete i giornali locali. Quanto più riuscite ad approfondire, meglio è. Visitate il Paese magari più di una volta in differenti stagioni, evitate le zone turistiche e cercate di parlare con le persone del posto. Non idealizzatelo, cercate di conoscerne anche gli aspetti storici e sociali più bui e i luoghi meno pittoreschi. Riflettete persino sul panorama: riuscite ad amarlo un pochino? Potreste sentirlo come casa vostra? Provate ad ascoltare anche un po’ cosa vi dicono le vostre emozioni, non usate solo la razionalità: le classiche liste dei pro e dei contro non bastano, serve qualcosa di più.

The pursuit of happiness

L’anno scorso in un commento sotto un mio post una lettrice chiedeva se è possibile essere felici in Olanda. Dato che descrivevo l’enorme differenza culturale tra l’Italia e i Paesi Bassi, ho capito subito di averla scioccata. La mia risposta è stata contemporaneamente sì e no. Si può cioè essere felici o infelici in qualunque posto sulla faccia della Terra (con rarissime estreme eccezioni), perché la felicità non dipende dal luogo in cui ci troviamo, ma è il risultato di un complicatissimo intreccio tra mille fattori a noi esterni (sui quali abbiamo pochissima influenza) e l’atteggiamento con il quale li affrontiamo. Spesso, però, nemmeno il più positivo degli atteggiamenti ci può aiutare, e la caduta nell’infelicità è inevitabile. Dare la colpa solo al Paese in cui abitiamo è una soluzione facile e veloce per trovare un colpevole, ma non serve a nulla. Così come a nulla serve continuare a trasferirsi altrove, convinti che il luogo della nostra felicità esista e abbia una coordinata geografica. In realtà credo la felicità sia una casa molto complessa che dobbiamo costruire con mattoncini preziosi e talvolta introvabili. Servono impegno, dedizione, fortuna e tanti, tantissimi, mattoncini.

Lascia un commento